Ciao a tutti,
ogni tanto chi mi conosce un pochetto, mi chiede se ho terminato la stesura del diario relativo alla missione 2013 alle Isole Solomone.
Ho quasi finito, mancano alcuni dettagli, il problema è che ad ogni rilettura cambio, aggiungo, taglio e cucio.
Per chi vuole, ne segue un passo.
ciao ciao
P.
Giorno 13 giovedì 5 settembre : frustrazione alle stelle.
Ciao Principessa, buona giornata.
Il funzionamento difettoso del carrello anteriore mi ha gettato nello sconforto. E’ sostanzialmente lo stesso problema che era emerso nel 2011, e pur sapendo che è risolvibile, non posso far altro che immaginare almeno mezza giornata impegnata. L’ opportunità di qualche ora di istruzione al Bishop ( che lamenta tra le altre cose soprattutto scarsa ovvero nulla padronanza della tecnica di decollo dall’ acqua) sta sfumando anzi si profila la possibilità che debba (voglia) ritardare la partenza di una settimana per portare a termine questo importante paragrafo della missione. Archiviata per ora la connessione con Wanga, Luciano ha deciso di equipaggiare con il ponte, la Guest house di fronte a Gizo, sull’ isola di Loga. E’ la vecchia casa vescovile, ora gestita da suore e dedicata alle mamme e ai bimbi che giungono a Gizo per recarsi in Ospedale.
Sveglia alle 5,30; un catino di magliette e calze da lavare – a mano – con sapone marsiglia, stendi panni in balcone poi colazione dal Don. E’ presto, dormono ancora tutti. Siamo entrambi un po’ sfiduciati, la giornata di ieri ci ha proprio buttati a terra. Maicol aspetta al molo; dopo la traversata, arriviamo a Nusatupe completamente fradici. Davvero stento a capacitarmi che decine di migliaia di persone – per una vita intera – possano muoversi in questo modo così pericoloso.
L’ Oceano era veramente mosso. Da paura. Ho visto passare le istantanee della mia insulsa esistenza!!. Aperto l’hangar, si avvicina uno degli ingegneri che lavorano all’ air strip; l’atteggiamento è molto freddo e distaccato, mi accenna a una lettera che Don Luciano ha inviato ad Honiara, al responsabile aeroportuale, in merito alle nostre intenzioni di volare anche con la pista chiusa, e questo credo abbia creato un richiamo ufficiale nei loro confronti. Io non ne so niente,” casco dal pero”. Del resto si era convenuto, avendo preso accordi verbali con i capo cantiere, di mantenere un profilo basso e di alzare meno polvere possibile, facendo attività al mattino presto, ovvero nel pomeriggio dopo l’orario di lavoro.
Ci dividiamo i compiti, abbiamo l’ acqua alla gola: Enrico si occupa del carrello, io rifinisco i cablaggi delle telecamere, e posiziono “finiti”, i cavi elettrici che penzolano un po’ dappertutto. In seguito salgo sul tetto per rivettare le staffe dei pannelli solari. Di tanto in tanto mi volto verso gli operai della Downer, il discorso di stamane mi ha lasciato un po’ di amaro in bocca.
La mattinata scivola via, torniamo a casa per il pranzo, combattendo contro il forte vento che obbliga Mik ad una inusuale rotta a parabola, per inserirsi in modo corretto nel braccio di mare verso il molo e soprattutto non rischiare di finire scaraventati sulla barriera corallina affiorante. Nella pausa, ecco svelato l’arcano: la lettera esiste eccome, ma ha sortito effetto contrario a quello voluto: il rappresentante della GDCA ad Honyara, tipico burocrate all’ italiana, ha evidentemente informato i vertici della Downer della nostra presenza ed intenzioni, e per tutta risposta ha inviato a Luciano gli estremi del NOTAM di chiusura di Nusatupe ed intimato lo stop a qualsiasi movimento. Cavolo il NOTAM ! come abbiamo fatto a non pensarci, a non verificarne i limiti di spazio e temporali. Cavolo, il NOTAM !!.
La modifica al carrello tra l’altro si è rivelata una brutta gatta da pelare, non avendo a disposizione elettrodi idonei all’ intervento sull’acciaio inox . Così interpelliamo Edwin ed insieme cerchiamo un’altra saldatrice – più potente – ed elettrodi in condizioni decenti. Li troviamo, ce li faremo portare in hangar più tardi. Torniamo al lavoro. Non sono ancora sceso dalla barchetta che in lontananza sento una persona inveire. Tra tante parole, una ricorre ogni… tre secondi: “ FUCK” (chiedo a scusa a chi legge, ma proprio non trovo un sinonimo altrettanto efficace). Elaboro senza risultato qualche opzione in merito, poi anche per un tordo come me la situazione si chiarisce: E’ Marck , gli esce fumo dalle narici e dalle orecchie, si avvicina veloce, pugni chiusi, ringhiando insulti di tutti i generi. Rimango impassibile e … lo affronto (presente Davide e Golia, vero ?). Mi becco una scarica infinita di “vaffa” tra i quali fa capolino anche cosa è successo: i grandi capi gli hanno strigliato ben bene il capo, per aver concordato una cosa che non si poteva fare. “ Fa presente” che lui ci ha aiutati e noi lo abbiamo fregato, “ fa presente” che è a capo di milioni di dollari australiani in movimento sull’aeroporto, “ fa presente” che un incidente anche piccolo piccolo potrebbe avere conseguenze enormi sul lavoro del quale lui e solo lui è il responsabile. (del resto, come dargli torto).
Wow !! è proprio fuori dalle righe, un fiume in piena, lo lascio parlare senza interrompere, gli chiedo solo 30 secondi per spiegare la nostra difficile posizione. La capisce, certo, ma fin che ci sono io qua, voi non volate più. Detto e fatto, con un cenno del capo a un suo operaio, ci ritroviamo con un enorme Caterpillar parcheggiato bello bello davanti al portone dell’ hangar. Giusto lo spazio necessario ad entrare ed uscire. Urca, gli dico che non è proprio necessario, che non si ripeterà nessun altro disguido, ma niente, non ci sente. E’ tanto che non mi ha preso a crapadoni (ceffoni n.d.r.).
Non so più cosa dire o fare. Marck prende in consegna le chiavi del mezzo e torna al cantiere, senza proferire altro. Incrocio uno sguardo del collega più giovane, visibilmente imbarazzato. Gli faccio segno che non ci sono problemi e di stare calmi. Anche Enrico è attonito, facciamo buon viso a cattivo gioco e riprendiamo a lavorare, visto che nel contempo Edwin ha portato la saldatrice. Come è vero che avere l’attrezzo giusto è mezzo lavoro fatto. Per riportare del materiale sul gancio difettoso (un lavoretto da poco più di 10 min.), ci impieghiamo tipo… 4 ore !! .Aiuto. E gli elettrodi sono arrugginiti. E la tensione del saldatore è insufficiente. E non abbiamo neanche una mezza morsa in questo posto. E che caspita!! Ma chi la dura la vince, alla fine il pezzo è modificato a dovere. Rimontiamo il complesso. Ora si, funziona bene. Andrebbe testato in volo, però! . Puntuale giunge l’oscurità, il Savannah è pronto, mancano ormai solo piccoli ritocchi. Anche in hangar tutto è tornato al suo posto. Rientriamo con mestizia a casa, dalla famiglia. Nel dopo cena, d’obbligo aggiornare Luciano sugli accadimenti odierni; decidiamo di non “forzare” ulteriormente la mano e vedere cosa succede. Stanco stanco, stanchissimo, stasera.
Buona notte, Principessa.
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